Forum Futuro ai blocchi di partenza. Quale economia per quale futuro?

Far ripartire la crescita, rilanciare i consumi, far «girare» di nuovo l’economia. I mantra post-moderni di un occidente in crisi. Sui media e nei forum economici si parla di «uscita dalla crisi» riproponendo la crescita come unica ancora di salvezza e la ripresa della produzione come panacea per una società in crisi d’identità. Purtroppo gli effetti del dogma della crescita sono sotto gli occhi di tutti, per quanto sia facile girare la testa o cambiare canale per non vedere: cambiamenti climatici, allargamento della forbice tra nord e sud del mondo e tra ricchi e poveri nelle nostre città, guerre per il controllo delle risorse. Siamo sicuri che sia questa l’unica strada percorribile? Chi ha deciso che il futuro del mondo debba essere questo?
Ne discutono sabato 20 aprile Enrico Burlando e Angelo Tartaglia nella prima serata di «Forum Futuro» dedicata a «Crisi economica/crisi ambientale. Dove stiamo andando?».

Viviamo in un mondo di risorse che crediamo infinite. Proprio come i bambini che rimandano l’inizio dei compiti delle vacanze fino all’ultimo, per ricordarsene il giorno prima dell’inizio della scuola e cercare la sera prima di salvare almeno la faccia. L’inizio della scuola non ha per noi una data precisa ma è fatto di tanti segnali che la terra sta lanciando: le risorse naturali con cui sono fatte le cose che mangiamo, usiamo e con cui ci vestiamo sono irrimediabilmente limitate. Abbiamo un solo pianeta da dividerci, è tempo di accettarlo e comportarsi di conseguenza.
Dalla seconda rivoluzione industriale l’occidente ha creduto di poter aumentare la produzione di beni indefinitamente, e così è stato in effetti fino all’inizio del XXI secolo. Gli elettrodomestici dal boom degli anni ’60, le griffe americane, i fast food, le tecnologie sono beni che i nonni dei nostri nonni non si sarebbero immaginati e che oggi viviamo come protesi dei nostri corpi. Ciò di cui ancora non siamo consapevoli è che c’è chi sta pagando per la nostra opulenza: l’ambiente per primo sta vivendo un impoverimento che per certi versi ha già superato la soglia dell’irreversibilità. Stiamo per raggiungere il fondo del barile dopo esserci ingozzati per decenni convinti che la pacchia non sarebbe mai finita. La dimensione realmente globale raggiunta dall’economia e dalle comunicazioni ci obbliga a tenere conto di quel «dark side» della produzione fatto di sfruttamento umano e ambientale, del peso sull’intero pianeta che hanno i nostri comportamenti quotidiani (non vi siete mai chiesti come sia possibile pagare pochi euro per della frutta che ha viaggiato per migliaia di chilometri?). È di questi giorni la notizia che l’Australia stia lavorando per riconoscere legalmente lo status di «rifugiato ambientale» per coloro che sono costraetti ad emigrare a causa dei drammatici mutamenti climatici (http://www.guardian.co.uk/environment/2013/apr/16/australia-climate-change-refugee-status ).
È dunque ragionevole credere che un sistema a crescita indefinita non sia più sostenibile. La grande sfida sta nel pensare un’economia nuova, che tenti di reinventarsi per la stabilità, come il sistema-terra che mantiene da sè l’equilibrio tra produzione e rigenerazione delle risorse.

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